Il coaching e la neuroplasticità
Come già discusso nel precedente post, le neuroscienze stanno fornendo una più approfondita comprensione del funzionamento del cervello e a loro si può ricorrere per dimostrare i benefici del coaching.
Ad oggi, uno dei più importanti risultati raggiunti delle neuroscienze è l’aver provato che il modo di sperimentare e percepire non è fisso, ma cambia sulla base delle esperienze che facciamo e delle domande che ci vengono poste; tale fenomeno è detto neuroplasticità. Mentre in passato si pensava che il cervello fosse predeterminato alla nascita, immutabile, ormai è stato appurato che esso, anche in età adulta, è continuamente soggetto a modifiche ed “aggiornamenti”.
Esperienza e ambiente, quindi, influenzano lo sviluppo e il funzionamento del cervello e il coaching, in questo determinato contesto, ha il compito di facilitare nel coachee cambiamenti in pensieri, emozioni e comportamenti, ovvero, rispettivamente, in atteggiamenti, consapevolezze e abitudini. Ma come il coaching può generare tali cambiamenti, facendo contemporaneamente compiere dei progressi nel cliente in termini di consapevolezza, auto-coscienza, auto-motivazione, resilienza, ottimismo, auto-efficacia? Tre concetti-chiave provenienti ancora dalle neuroscienze forniscono chiare risposte:
- IMMAGINARE E FARE, PER IL CERVELLO, PARI SON. Come dicevamo, le aree del cervello associate a emozioni e ricordi – come la corteccia pre-frontale, l’amigdala e l’ippocampo – sono “plastici” e cambiano, durante l’apprendimento e la formazione della memoria, in risposta alle esperienze. Mentre la percezione è il processo di acquisizione, interpretazione ed organizzazione di informazioni sensoriali reali (immagini, odori, gusti, sensazioni tattili), l’immaginazione è relativa a situazioni e sensazioni create con la mente e non (ancora) avvenute. Ciò che si è appreso è che l’immaginazione attiva gli stessi percorsi neuronali dell’esperienza reale: da ciò discende che le sollecitazione del coach a visualizzare una vita diversa, a costruire passo dopo passo un cambiamento futuro, a immaginarsi “dall’altra parte del ponte” provocano delle mutazioni nel cervello al pari delle esperienze reali, dileguando blocchi e paure e rendendo, di conseguenza, l’obiettivo più vicino e realizzabile.
- L’ACQUISIZIONE DI NUOVE PROSPETTIVE SBLOCCA IL CERVELLO. Il coach spinge il cliente ad elaborare nuove prospettive, mediante domande potenti, provocazioni ed ascolto attivo; nel momento in cui ciò avviene, il coachee può sganciarsi da blocchi emotivi, di fatto aggirando l’amidgala.
- ALLA BASE DI UN CAMBIAMENTO, C’È SEMPRE UNA RELAZIONE. Si sa che la relazione terapeutica ha la capacità di aiutare i clienti a modificare i sistemi neuronali e a migliorare l’equilibrio emotivo, facendo generare risposte fisiologiche positive. Allo stesso modo, il coaching, in individui sani, grazie alla potente relazione di partnership basata su fiducia, supporto e apprendimento, favorisce il cambiamento nel coachee.
Possiamo concludere dicendo che pratiche di coaching sviluppate e raffinate negli anni da coach in giro per il mondo, mediante intuizioni, prove, correzione di errori ed attingendo a varie discipline, sono state dimostrate essere efficaci, attraverso mezzi scientifici, non opinabili. Personalmente, ciò mi suscita orgoglio e rappresenta un ulteriore sprone a procedere con sempre più fiducia ed entusiasmo sulla via del coaching!